Antonino Caponnetto è stato il fondatore del pool antimafia di Palermo.
Nel 1983, dopo l’ennesima strage di mafia in cui venne ucciso Rocco Chinnici, capo dell’Ufficio Istruzione di Palermo, si candidò a prenderne il posto.
Arrivato in terra siciliana, iniziò subito a lavorare per costituire quello che poi venne chiamato pool antimafia e che ha fatto scuola da allora innanzi:"… poche ore dopo il suo insediamento aveva convocato i futuri colleghi dell’ufficio istruzione dicendo loro senza particolari preamboli: 'Ho intenzione di confermare metodi, struttura ed organizzazione del lavoro voluti dal giudice Chinnici. (…)'.
Subito dopo aveva indicato le linee operative che sarebbero state praticate per anni: la socializzazione fra i giudici istruttori della propria esperienza professionale, la massima circolazione di notizie, informazioni, nuove acquisizioni processuali, per evitare che singoli giudici fossero detentori di scomodi segreti; in altre parole la costituzione di un pool, una squadra di magistrati che avrebbero dovuto dedicarsi esclusivamente ad indagini antimafia essendo esonerata – proprio per decisione del capo di quell’ufficio – dalla routine giudiziaria"(1).
Del pool facevano parte Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Giuseppe di Lello, Leonardo Guarnotta.
L’arresto di Tommaso Buscetta, storico boss della mafia ed il suo 'pentimento' dettero origine al blitz di San Michele (2), considerata l’operazione antimafia più importante del secolo scorso. Interi clan mafiosi vennero trasferiti nelle carceri di massima sicurezza. Nello stesso anno, Caponnetto istruì il maxiprocesso: 475 imputati per reati di mafia.
Nel 1987 arriva la prima sentenza: " …Il 16 dicembre 1987 il presidente della Corte di Assise esce dalla camera di consiglio insieme al giudice a latere Piero Grasso (3) e ai giurati popolari. Sono stati rinchiusi 45 giorni (…) Centinaia di anni di carcere inflitti per la prima volta a centinaia di affiliati a Cosa Nostra. (…) Per tutti o quasi associazione a delinquere di tipo mafioso" (4).
Questo reato è stato introdotto nel codice penale dopo la strage di via Isidoro Carini del 3 settembre 1982 nella quale vennero uccisi il Prefetto di Palermo Generale Carlo Alberto dalla Chiesa, la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente di scorta Domenico Russo. Il 13 settembre del 1982, venne approvata la legge La Torre, cui era stato necessario aggiungere il nome del ministro di Giustizia dell’epoca Virginio Rognoni perché il 30 aprile 1982 Pio La Torre, l'autore di quella legge, era stato ucciso a Palermo.
"(…) I mafiosi sono dichiarati delinquenti e condannati da una legge ed una sentenza dello Stato italiano (5) (…) L’ordinanza di rinvio a giudizio, firmata foglio per foglio da Antonino Caponnetto e scritta anche da Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Giuseppe di Lello, Leonardo Guarnotta, i magistrati del pool antimafia, cominciava così: "Questo è il processo all’organizzazione mafiosa denominata Cosa Nostra, una pericolosissima associazione criminosa che, con la violenza e l’intimidazione, ha seminato e semina morte e terrore"(4).
Caponnetto lascia l’incarico nel 1988 e se ne torna nella sua Firenze, dove aveva lasciato la moglie e tre figli ma non va in pensione. Dopo le uccisioni di Falcone e Borsellino ha iniziato, instancabile, un viaggio per le scuole e le piazze di tutta Italia per raccontare, soprattutto ai giovani e ai giovanissimi, chi fossero Falcone e Borsellino. Caponnetto ha girato centinaia di scuole, un infaticabile testimone di etica della politica e della vita civile, della giustizia e della legalità.
Nel 1999 ha organizzato il primo "Vertice sulla legalità e la giustizia sociale" a Firenze, chiamando a raccolta magistrati, giornalisti, avvocati, testimoni, associazioni e migliaia di cittadini, per discutere e “fare il punto” sulla questione giustizia in Italia.
È morto il 6 dicembre del 2002. Per diversi anni Elisabetta Caponnetto, sua moglie, ha raccontato ai ragazzi delle scuole chi era Nino, quali erano i suoi valori, quale è stata la sua vita. Tanti meriti del pool e del maxi processo oggi attribuiti ad altri, sono in realtà suoi. Nino non ha raccontato la sua storia, ma quella dei suoi allievi. Era un uomo dotato di grande carisma, accanto a lui ci si sentiva come accanto ad un gigante intellettuale ed umano che ignora la sua grandezza. Era umile, dolcissimo e dotato di una straordinaria autorevolezza. Ma, soprattutto, Nino era un uomo libero.
Nel suo libro “I miei giorni a Palermo”(6), classifica come “più emozionante” di tutta la sua esperienza palermitana questo episodio: "Quando entrai da solo nell'ufficio di Chinnici, mi sentii attanagliare da un'emozione incredibile. Non ho mai avuto il coraggio di toccare alcunché: come ho trovato la sua stanza, così l'ho lasciata (...).